L’apertura di una società in un paese estero a fiscalità privilegiata, dove quindi la pressione fiscale è più bassa, o la delocalizzazione di una struttura già esistente in Italia, sono argomenti recentemente molto trattati perché sempre più imprenditori scelgono di percorrere questa strada. In quest’articolo spiegheremo in modo chiaro quali sono i principali criteri da tenere in considerazione durante tali processi e come difendersi dalle contestazioni e dagli accertamenti dell’Agenzia delle Entrate Italiana.
Prima d’incominciare con l’analisi, è importante capire quali siano i motivi che portano alla scelta di aprire una società all’estero o di spostarne la residenza. In primo luogo, l’obiettivo è quello di pagare imposte più basse (in alcuni paesi sono addirittura inesistenti), quindi evitare la worldwide taxation, che è il principio adottato dall’amministrazione finanziaria italiana secondo il quale i redditi dei residenti in Italia sono tutti soggetti a tassazione, mentre i soggetti residenti all’estero devono pagare le tasse solo sui redditi prodotti in territorio italiano.
Tuttavia esistono anche motivazioni più attinenti ad aspetti produttivi e pratici. Infatti, molti dei paesi a fiscalità privilegiata offrono altri vantaggi come basso costo delle utenze, infrastrutture all’avanguardia e basso costo del lavoro.
Naturalmente, stabilire la residenza di un’impresa all’estero in modo regolare comporta il rispetto di rigidi parametri imposti
dall’Agenzia dell’Entrate, il mancato rispetto dei quali può facilmente portare all’accusa di esterovestizione, ovvero la costruzione fittizia dei requisiti per classificare un’impresa come estera al solo fine di evadere le tasse.
Scopriamo insieme quindi che cos’e nel dettaglio l’esterovestizione e quali sono gli strumenti che le imprese hanno a disposizione per difendersi.
Per comprendere in pieno il significato di esterovestizione è importante conoscere il concetto di residenza fiscale. Il miglior modo per farlo è partire dalla definizione ufficiale del Tuir (Testo Unico delle Imposte sui Redditi), riportata nell’art. 73, comma 3:
“Ai fini delle imposte sui redditi si considerano residenti le società e gli enti che per la maggior parte del periodo di imposta hanno la sede legale o la sede dell’amministrazione o l’oggetto principale nel territorio dello Stato“
Come si stabilisce se una società è residente in Italia?
I criteri che si devono osservare quando si valuta se una società è residente in Italia sono essenzialmente due:
Viene considerata residente in Italia se almeno una delle seguenti specifiche è situata in territorio italiano: sede legale, sede amministrativa, oggetto principale nello statuto della società.
Almeno un elemento tra sede legale, sede amministrativa o oggetto principale sono presenti o vengono esercitati in Italia per la maggior parte del periodo d’imposta.
Facciamo un esempio: se nell’atto costitutivo di una società è stabilito che la sede legale è situata in Italia, allora tale società viene considerata residente in Italia. Se invece la sede legale è domiciliata all’estero, l’Agenzia delle Entrate verifica se in Italia è eventualmente presente la sede amministrativa, al fine di accertare dove realmente chi amministra la società esercita la sua attività. In parole povere significa che l’aspetto fondamentale non è tanto dove è stabilita la sede ma piuttosto dove svolge il proprio esercizio, quindi dove opera.
È bene far riferimento a due definizioni molto chiare degli aspetti di localizzazione e oggetto principale. La prima è data dalla Corte di Cassazione nella sentenza 136/1998 e dall’art.4 del Modello OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico):
“Il luogo in cui la società svolge la sua prevalente attività direttiva ed amministrativa per l’esercizio dell’impresa, cioè il centro effettivo dei suoi interessi, dove la società vive ed opera, dove si trattano gli affari e dove i diversi fattori dell’impresa vengono organizzati e coordinati per l’esplicazione ed il raggiungimento dei fini sociali“
Anche il Tuir si esprime relativamente alla definizione di società residente nell’ art. 73, comma 4:
“L’oggetto esclusivo o principale dell’ente residente è determinato in base alla legge, all’atto costitutivo o allo statuto, se esistenti in forma di atto pubblico o di scrittura privata autenticata o registrata”
L’oggetto esclusivo definisce qual è l’attività principale della società e può essere indicato nell’atto costitutivo, nell’statuto o anche dalla legge. Il Tuir, nel successivo comma 5, stabilisce le modalità di definizione dell’oggetto esclusivo anche per le società non residenti:
“In mancanza dell’atto costitutivo o dello statuto nelle predette forme, l’oggetto principale dell’ente residente è determinato in base all’attività effettivamente esercitata nel territorio dello Stato; tale disposizione si applica in ogni caso agli enti non residenti“.
In sostanza i parametri da tenere in considerazione per determinare se una società sia residente all’estero e non Italia sono due. Li riassumo sinteticamente per essere più chiaro:
Per quanto riguarda la residenza fiscale della società, in fase di contestazione o d’accertamento, è l’Agenzia delle Entrate a dover produrre le prove che dimostrino che la società sia stabilita all’estero in modo fittizio e che quindi in realtà operi in modo stabile e produce redditi nel territorio Italiano per la maggior parte del periodo d’imposta.